Vi siete mai chiesti da dove provengono e dove vanno a finire tutti i vestiti prodotti all’interno del meccanismo conosciuto come Fast Fashion?
Ve lo mostriamo noi.
Fast Fashion: cos’è?
Il concetto di Fast Fashion si riferisce a capi di abbigliamento che vengono prodotti rapidamente ed a basso costo, passando direttamente dalle passerelle alla produzione. Questa strategia di produzione è comunemente adottata dalle grandi catene di distribuzione come H&M, Primark, Zara, Stradivarius, Abercrombie & Fitch, tantissime altre.
Spesso, la Fast Fashion viene associata all’idea di moda usa e getta, poiché non pone molta enfasi sull’uso prolungato dei capi, ma li considera come qualcosa da indossare per una stagione e poi sostituire.
Tuttavia, è importante evitare generalizzazioni e considerare che molti capi di abbigliamento acquistati presso queste catene possono durare per anni, senza necessariamente essere di scarsa qualità.
Ciò che è innegabile è che la Fast Fashion contribuisce all’inquinamento ambientale causato dall’industria tessile, rendendo questa industria la seconda più inquinante al mondo. Inoltre, è una delle principali consumatrici di risorse energetiche e naturali.
L’inquinamento non è l’unico problema legato alla Fast Fashion: è fondamentale prendere in considerazione anche gli aspetti sociali legati alla produzione di moda a basso costo. È noto che dietro la Fast Fashion si celano pratiche di sfruttamento umano, discriminazione, schiavismo coloniale, lavoro minorile e altri fattori estremamente negativi.
Pertanto, è importante valutare attentamente gli impatti ambientali e sociali prima di sostenere la Fast Fashion e considerare alternative più sostenibili ed etiche nell’industria della moda.
Un esempio: La discarica di vestiti nel deserto di Atacama
Uno degli esempi più eclatanti e tristi delle conseguenze del fast fashion è ciò che si trova nel Deserto di Atacama, in Cile.
Circa 39mila tonnellate di maglioni, jeans e t-shirt provenienti in prevalenza da mercati occidentali, indossati per breve tempo e che nessuno vuole più.
Secondo un report di France Press, queste tonnellate di indumenti non venduti o di seconda mano arrivano in quantità industriali tutti gli anni da Europa, Asia e Stati Uniti. Oggi le dune del deserto di Atacama appaiono come in foto: sono ricoperte di vestiti invenduti e scartati. Il settore della moda è uno dei più inquinanti al mondo e il fast fashion ne è il fattore principale.
Questo è solo un esempio. Esistono nel mondo altre discariche di vestiti a cielo aperto.
Periferia di Accra, Ghana:
Discarica di Dandora, Nairobi, Kenya:
Ultra Fast Fashion: il caso Shein
Prezzi bassissimi, migliaia di capi e accessori, codici sconto e una potente strategia di influencer marketing: questo è ciò su cui si fonda Shein, il colosso cinese dell’ultra fast fashion. Con un valore di 100 miliardi di dollari, equivale a più di Zara e H&M messi insieme, ma di Shein fino a pochi anni fa nessuno aveva mai sentito parlare.
Da dove proviene questo successo o, in altri termini, questo disastro ambientale e sociale?
Negli ultimi tempi sono venute fuori verità agghiaccianti su Shein, a partire dalle condizioni dei lavoratori:
- sfruttamento del lavoro minorile
- turni di lavoro fino a 75 ore settimanali
- contraffazione dei marchi
- riduzione in schiavitù
Ma Shein rappresenta anche un problema per la salute: i suoi capi contengono non solo sostanze pericolose, quali ftalati, formaldeide e nichel, ma addirittura che queste sono presenti in quantità superiori ai livelli consentiti dalle leggi europee.
E a pagare il prezzo più alto sono i lavoratori che operano nelle filiere produttive del colosso cinese e sono esposti a seri rischi sanitari, ma anche le popolazioni che vivono in prossimità dei siti produttivi. (fonte: Greenpeace.org)
Non acquistate da Shein. Preferite un capo di qualità a 10 scadenti, pericolosi e pagati con il sudore di persone ridotte sull’orlo della schiavitù.
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